COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE

 

4.1. Le lotte nello Stato borghese
 

La visione deterministica della storia (più marcata negli epigoni, ma presente in Marx stesso) comporta delle scelte anche nella concezione delle modalità di sviluppo dell’antagonismo proletario all’interno dell’assetto sociale capitalistico, degli strumenti atti a costruire la sua forza di opposizione allo sfruttamento e del grado di protagonismo che il proletariato stesso è capace di sviluppare. Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante; così Marx ed Engels nel Manifesto del 1848. In questo breve passo c’è in nuce tutta la storia dell’evoluzione del marxismo da una piccola setta di emigrati tedeschi in Gran Bretagna, a partito dominante del proletariato per tutto il XX° secolo, ed anche, ad avviso degli anarchici, tutte le cause del misero crollo del socialismo reale. Il brano citato sarà, non a caso, uno dei preferiti di Lenin, che su di esso svilupperà la sua teoria del partito rivoluzionario. Vediamo in dettaglio.

Il primo elemento da prendere in considerazione è quello della supremazia politica. La conquista di questa supremazia ha conseguenze logiche e pratiche che i comunisti anarchici (ed anche, per la verità, alcune correnti marxiste come luxemburghisti, bordighisti, consiliaristi, etc.) hanno sempre rifiutato. Infatti la necessità di conquistare il potere politico implica una rappresentanza politica, cioè un partito che lavori all’interno delle istituzioni. I comunisti anarchici non rifiutano il partito in quanto organizzazione (ovviamente se rispetta certi requisiti, sui quali sarà opportuno tornare in seguito), rifiutano però che esso possa rappresentare le masse degli sfruttati, per di più se questo deve avvenire nell’ambito dell’agone politico. Queste ultime, se devono essere gli attori della propria emancipazione, non possono che trovare in se stesse la propria rappresentanza. Per i marxisti, invece, l’avanguardia politica gioca un ruolo tutto diverso (ed anche su questo riprenderemo fra poco il filo del ragionamento), ma soprattutto deve implicarsi a fondo nell’entrare nell’apparato dello Stato borghese, acquisirne i meccanismi di funzionamento, far crescere la propria forza in termini elettorali e così via (farsi Stato si è detto un tempo in Italia). La corrente rivoluzionaria del marxismo rifiuterà queste conseguenze, che ebbero un tragico sviluppo ed un ancora più tragico sbocco nell’esperienza della IIa Internazionale (1881-1914), ma sempre le stesse si ripresenteranno immutate nella loro storia, come è successo a tutti i partiti della IIIa Internazionale (1921-1989).

In effetti la compromissione con lo Stato borghese ed il riassorbimento all’interno delle sue logiche di funzionamento fino alla totale capitolazione è una costante della parabola storica dei marxismi. Quando nel 1875 a Gotha fu fondato il Partito Socialdemocratico Tedesco, Marx criticò aspramente il programma della neonata formazione politica, in quanto la fusione tra i suoi seguaci e quelli di Ferdinand Lassalle, aveva annacquato il vino della sua teoria. Il partito proseguì la strada intrapresa, nonostante la scomunica, ma fidando sull’appoggio di Engels (che poi lo sconfesserà a sua volta dopo la svolta del Congresso del 1891 di Erfurt), e sulle sue idee, elaborate in gran parte da Karl Kautsky, si fonderà la linea politica della IIa Internazionale. La china era aperta e su di essa prima scivolò Eduard Bernstein, che iniziò a negare la necessità della lotta rivoluzionaria (negazione, se vogliamo, già implicita in quel poco a poco presente nel brano di Marx ed Engels riportato all’inizio) e poi in Francia Alexandre Millerand, che uscì dal partito per entrare come Ministro in un Governo borghese ed infine tutta la socialdemocrazia tedesca, che nel 1914 (indicato più sopra impropriamente, ma volutamente, come anno della fine della IIa Internazionale) votò i crediti di guerra che permisero alla Germania di scatenare la Ia guerra mondiale.

Lenin innestò un filone blanquista nel ceppo marxista restituendogli un carattere aggressivamente rivoluzionario, ma se questo funzionò nella fase della presa del potere con l’azione di forza del novembre 1917, in seguito lasciò riaffiorare la tendenza al compromesso con lo Stato borghese, che ha segnato la parabola di tutti i partiti comunisti del mondo fino alla caduta del muro di Berlino.

I comunisti anarchici non sono, invece, interessati all’apparato dello Stato borghese se non in termini di analisi per disvelarne i meccanismi reali di funzionamento e ritengono quindi che non sia opportuno entrare nella dinamica delle lotte al suo interno, né per loro quale organizzazione, né per il proletariato, che da questi scontri non ha nulla da guadagnare, se non altre catene.

 


4.2. La lotta politica e la lotta sociale

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