COMUNISTI ANARCHICI: UNA QUESTIONE DI CLASSE

 

6.1. Appendice 1

Materialismo storico e materialismo dialettico
 


Il materialismo storico se ha avuto in Marx il suo più preciso assertore, il suo sistematore, è d’altra parte un patrimonio di tutto il proletariato fin dal suo primo costituirsi come classe cosciente dello sfruttamento cui è sottoposta. Egli ne ha preso lo spunto da Proudhon che per primo pose l’accento sulle contraddizioni economiche della società, ma, a giudizio di Marx stesso, pretese di risolverle ancora nell’ottica di una scienza che riflette solo in maniera mediata la realtà dei rapporti di produzione e non raggiunge l’autonomia propria del vero materialismo.

Storicamente il punto di vista materialista storico non si è prolungato nella tradizione del marxismo ortodosso dalla Seconda alla Terza Internazionale e fino ad oggi, soppiantato in tutti i maggiori teorici dal materialismo dialettico, enunciato complessivamente da Friedrich Engels nelle sue due opere Antidüring e La dialettica della natura. Il materialismo dialettico recepisce la dialettica hegeliana mettendola con i piedi per terra, non considerando più, come in Georg Wilhelm Friedrich Hegel, l’evoluzione dell’idea, ma quella della materia. La materia si evolve per sue leggi interne ed immutabili (astoriche); socialmente ed economicamente ciò si riflette attraverso una dialettica continua tra lo sviluppo delle forze produttive ed i rapporti di produzione, che, adattandosi in un primo momento al grado di sviluppo delle forze produttive, ad un certo punto diventano un ostacolo ad un ulteriore sviluppo delle prime, ne costituiscono un involucro rigido che viene infine spezzato. Il materialismo dialettico cessa così di essere un metodo di conoscenza della realtà per divenire un’interpretazione della realtà, pretendendo di dare non solo una visione generale della storia umana, ma anche una previsione sulla certezza della crisi finale del capitalismo e sull’avvento ineluttabile del comunismo. Quest’ultimo non viene più ad essere un modo in cui si vanno a ristrutturare i rapporti di produzione in seguito ad una riappropriazione del proletariato, in quanto classe, del prodotto del proprio lavoro, ma solo un modo di gestione di un particolare stadio di evoluzione, quello più avanzato, delle forze produttive. E così l’uomo viene a perdere la sua funzione di trasformatore della realtà, per divenire solo un prodotto di forze a lui estranee e che rivestono per lui solo un carattere di leggi immutabili esterne.

Così procedendo il marxismo nella sua interpretazione enghelsiana e leninista viene impostando un materialismo metafisico ed in definitiva idealistico, che l’anarchismo rifiuta ed ha sempre rifiutato. È opportuno ribadire che il materialismo dialettico non è un metodo di conoscenza della realtà, ma è un’interpretazione del processo storico, una ben precisa visione dei fatti, che si caratterizza per la predeterminazione del futuro come unico inevitabile sviluppo dei fattori passati e presenti. La discendenza positivistica di una tale concezione è sempre stata respinta dall’anarchismo (a parte la deviazione kropotkiniana), che ha sempre visto la storia come prodotto di fattori molto complessi e mutabili ed ha sempre reputato l’uomo come uno di tali fattori in gioco, non un puro oggetto di un’evoluzione storica a lui estranea.

Alle spalle del materialismo dialettico sta anche una mitizzazione delle capacità della scienza naturale, in grande sviluppo alla metà dell’Ottocento ed il tentativo di trasferire analoga sicurezza di risultati al campo delle scienze sociali. Di qui il socialismo scientifico che studia le leggi di evoluzione della storia, oggettive come le leggi fisiche che governano natura. Il bisogno di oggettivizzare la conoscenza dei processi sociali si riflette nella formulazione di una teoria economica, enunciata da Marx ne Il capitale, che relega la lotta di classe a fattore correttivo, e nella interpretazione della storia come manifestazione dei processi dinamici della materia, una materia astratta e immutabile. La natura come è inconoscibile per l’uomo, se non in una approssimazione continua e infinita, così è data al di fuori e indipendente da lui, che non può intervenire sul suo sviluppo neppure come soggetto collettivo, ma ne è invece un puro prodotto. Il programma rigidamente deterministico ottocentesco (riduzionismo) è poi scomparso dalle scienze della natura nel corso del XX° secolo, nella seconda metà del quale è anche entrato in crisi il modello meccanico della perfetta prevedibilità del moto che datava dal programma galileiano e newtoniano (un’incertezza anche minima nelle condizioni di avvio rende del tutto imprevedibile la traiettoria di un numero anche estremamente ridotto di particelle), ma è rimasto in eredità al modello storico marxista.

Sull’onda del materialismo dialettico si viene delineando uno schema di interpretazione storica fatta di tappe successive (rivoluzioni), un esempio del quale può essere ricavato dalla lettura della Storia del partito comunista (bolscevico) dell’URSS, su edizione autorizzata dal Comitato Centrale del Partito.

Leggendola appare incredibile che il socialismo scientifico si sia contentato per tanto tempo di una visione così semplicistica ed inattendibile della storia, eppure fino a poco più di un decennio fa il materialismo storico e la sua applicazione deterministica, il materialismo dialettico, sono rimasti confusi e lo sono ancora nella maggioranza degli studiosi marxisti e non. Per noi il recupero di tale distinzione ha un duplice vantaggio. Da un lato la riscoperta di un metodo di analisi che da Bakunin in poi ha guidato i passi principali e più riusciti del movimento anarchico. Dall’altro il riallacciarsi ad una tematica di classe troppo spesso dimenticata per l’ostilità verso gli schematismi dottrinari che vedevano l’uomo come una marionetta incapace di agire nel senso della costruzione di una società a sua misura.

Infatti nel movimento anarchico il terrore di queste analisi preconcette del marxismo, come si è venuto storicamente determinando, ha portato al rifiuto in blocco di esso, persino nelle sue parti che hanno ispirato la nascita del movimento operaio e che hanno trovato concordi anche i primi militanti internazionalisti. Ma c’è di peggio, si è anche finito, da parte di alcuni, per rifiutare anche determinati principi, solo perché ne parlava il marxismo, senza ricordare che essi erano principi vitali dell’anarchismo, preesistenti alla formulazione datane da Marx, e che abbandonando essi si smarriva pure l’anima del movimento, così come si era caratterizzata al suo sorgere.

 


6.2. Appendice 2: Comunismo anarchico e comunismo libertario

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