Teoria dei Comunisti Anarchici
La teoria: suo ruolo
La teoria rivoluzionaria non è la stessa cosa della coscienza delle classi rivoluzionarie. Di conseguenza non bisogna commettere l'errore di credere che la teoria rivoluzionaria si sviluppi autonomamente dalla coscienza pratica rivoluzionaria di massa, perché la teoria nasce da una esigenza di continuità e coerenza insita nella coscienza rivoluzionaria di massa ed il suo scopo è proprio quello di rivivere in forme di coscienza di massa sempre più complete ed autosufficienti. E' quindi assurdo considerare la teoria come una scienza sociale di èlite autonoma, oppure come se essa fosse la coscienza di massa. Nel primo caso, la sua incidenza sul processo rivoluzionario -che è una pratica cosciente di chi subisce realmente lo sfruttamento- sarebbe soltanto casuale e marginale, in quanto si limiterebbe a fornire, casualmente, ragguagli tecnici su situazioni inerenti allo scontro sociale, ma non assolverebbe la necessità reale di dare alla coscienza di massa -in quanto coscienza e non puro atto scientifico- una vita storica continua e la garanzia di una sperimentazione rivoluzionaria sempre coerente con se stessa.
Nel secondo caso, si commetterebbe una violenza, una perversione, nei confronti della realtà. Sostituendosi astrattamente alla coscienza di massa, si appiccicherebbe sul muso di un porco la dicitura di "farfalla", si direbbe che una persona è cento, mille persone.
Questa semplice e mostruosa assurdità logica è purtroppo possibile in una società che chiama merce un uomo, o lo paragona ad un utensile, o gli dà un ruolo in cui è escluso l'esercizio della libera volontà e creatività - caratteristiche primarie dell'uomo in quanto tale. Ma qualsiasi forzatura della realtà umana è possibile se si ha il potere di costringere degli uomini a subirla. Se non si ha questo potere di andare contro la natura umana, o se lo si perde, l'assurdità di un concetto o di una convinzione si ritorcono semplicemente sul suo protagonista, ponendolo automaticamente in posizione d'impotenza, di chi subisce la realtà.
In conclusione, la teoria rivoluzionaria vuol dire coscienza della minoranza rivoluzionaria. La differenza fra coscienza di minoranza e coscienza di massa esiste anche se lo scopo oggettivo delle due è arrivare alla totale identificazione reciproca. Questa differenza consiste nel fatto che la minoranza rivoluzionaria è cosciente della globalità delle esperienze coscienti di massa -atti rivoluzionari- e della necessità di dare loro una continuità storica reale ed una incidenza completa e generale sugli sfruttati.
La coscienza rivoluzionaria è una coscienza di massa perché riguarda direttamente la posizione sociale delle classi sfruttate e le loro azioni per liberarsi da questo sfruttamento. Quindi essa rappresenta la coscienza di una collettività (cioè la coscienza comune di tutte le individualità che la compongono) della misura e dei modi con cui la soluzione dei suoi problemi immediati richiama ad un rivoluzionamento generale della società. E' una coscienza che, senza confonderli, lega tra loro prassi sociale e coscienza politica, interesse particolare e visione complessiva della società.
Nell'era capitalistica, essa vive e si realizza nelle classi sfruttate, a misura che le stesse diventino soggetti dei loro fini storici e della conseguente sperimentazione. Per concludere, la coscienza rivoluzionaria di massa si realizza solo come atto rivoluzionario collettivo autocosciente. Ciò vuol dire: identità fra portatore storico materiale del fine rivoluzionario e soggetto dell'atto rivoluzionario. Il soggetto rivoluzionario deve raccogliere in sé coscienza dei fini storici, coscienza della precedente sperimentazione, consapevolezza del valore di sperimentazione e del fine storico dei suoi atti. Questo richiede che lo stesso soggetto rivoluzionario sia protagonista della programmazione e dell'esecuzione dell'atto, sia capace di memoria del cammino rivoluzionario precedente e di proposta di come avanzare su questo cammino.
La teoria rivoluzionaria è uno degli strumenti che devono portare alla coscienza rivoluzionaria di massa; essa esiste quando le classi sfruttate sono tutte coscientemente rivoluzionarie e serve, attraverso una minoranza agente (il partito), a far nascere questa coscienza. Essa si compone quindi della consapevolezza teorica dei fini storici rivoluzionari, del senso della sperimentazione avvenuta precedentemente su questo fine, della necessità che questa sperimentazione prosegua coerentemente alla sua storia e, infine, della necessità di rendere le masse protagoniste di queste problematiche; condizione, questa ultima, necessaria per la vita del processo rivoluzionario.
In questo senso la teoria serve la coscienza rivoluzionaria di massa e realizza il suo scopo nella misura in cui scompare nella realizzazione di quest'ultima, del soggetto rivoluzionario collettivo, del processo rivoluzionario autocosciente. Nel cammino verso la rivoluzione, teoria e coscienza di massa rivoluzionaria possono coesistere, ma vivranno solo se realizzeranno il loro scopo congiunto: dar vita alla coscienza di massa rivoluzionaria come sintesi della teoria e della attività pratica di lotta; il che vuol dire che le classi sfruttate lottano sapendo per quale società lottano e per quali ragioni scelgono di agire in un modo anziché in un altro rivelatosi storicamente errato. La teoria così si continua nella sperimentazione attuale, fatta secondo fine ed esperienze precedenti, e contribuisce a creare la coscienza rivoluzionaria di massa, perché, nella misura in cui se ne impossessa il soggetto rivoluzionario potenziale, esso la realizza in nuova sperimentazione.
Nel secolo XVIII si è sviluppata, a partire dall'Europa, una società con strutture sociali caratteristiche. Questa società, chiamata capitalistica, era un ulteriore spostamento del genere umano verso l'affrancamento dai vincoli fisici che la natura poneva alla sua libera volontà e creatività. Ma dire questo non basta.
La nascita della società capitalistica segnava il punto più alto raggiunto fino allora dal rapporto fra la necessità umana della libertà ed i limiti sociali che l'uomo stesso poneva allo sviluppo della libertà. Infatti, si può dire che fin dalla nascita stessa del genere umano, l'uomo ha teso a riunirsi con i suoi simili creando forme di società sempre meno rudimentali. All'inizio si trattava certamente di forme di solidarietà dettata dalla pura necessità di opporsi alle calamità naturali; ma con l'aumento del controllo su queste calamità, si sviluppava sempre più la ricerca di un libero sfogo alle proprie capacità di pensiero, di creazione, in sostanza, di autocoscienza. Su questa strada, non si è trattato più di difendersi semplicemente dalla natura, ma di rosicchiarle sempre più libertà per vivere umanamente, all'inizio, e in seguito, di arrivare con essa a dei rapporti di armonia fisica e mentale, di essere tutt'uno con il proprio spazio fisico, non più nemici reciproci.
Parallelamente, la vita di un gruppo mostrava non più soltanto la capacità di amplificare enormemente la capacità di difesa dall'esterno, ma anche la capacità di amplificare, attraverso la comunicazione fra uomo e uomo, le capacità creative, di pensiero e di conoscenza di ognuno, fino ad arrivare alla necessità, per ogni individuo, di sfruttare la scienza e la coscienza collettive. Con il capitalismo, il rapporto uomo-natura e uomo-suo simile è arrivato ad un tale stadio di maturazione da non porre più il rapporto uomo-natura come il più importante, come quello che richiede la struttura sociale collettiva, ma da porre come determinante e fondamentale il rapporto sociale fra individui, perché da esso scaturiscono ormai ampie possibilità di superare -sia nel rapporto fra uomo e uomo, sia in quello fra uomo e natura- qualsiasi posizione di difesa o offesa. Si apre cioè la possibilità di sintonizzare lo sviluppo della natura e di ogni singolo individuo in modo di ottenere fra essi un legame positivo sempre più stretto.
Questo grande e complesso sviluppo storico -per niente concluso- è avvenuto attraverso variazioni radicali delle strutture sociali con risultati di sempre maggiore sviluppo delle capacità scientifiche e coscienti degli uomini. Questi cambiamenti sociali, anche se scanditi da momenti acuti di scontro, sono sempre maturati gradualmente dal sistema sociale precedente ed hanno generato strutture sociali che contenevano in sé i germi per nuove rivoluzioni con obiettivi ancora più avanzati. Non è possibile conoscere il termine esatto di questo cammino, perché possiamo anche conoscere il limite a cui si tende, ma questo ci dà la certezza solo di un processo e di una direzione; questa conoscenza è reale solo nella misura in cui si concreta nella prossima tappa del progresso sociale, della quale non abbiamo alcun elemento per dire che è l'ultima o la più perfetta raggiungibile.
Nell'era del capitalismo, noi viviamo e conosciamo le tendenze, proprie di questa era, a superare i suoi stessi limiti alla libertà umana, e possiamo batterci per la prossima tappa di progresso sociale. A tale scopo abbiamo dietro di noi una storia di scontri sociali ed una storia, intimamente connessa, di formazioni politiche che hanno dato un filo di continuità a questi scontri, rendendoli di volta in volta più maturi. La storia del capitale è storia della libertà di pochi che sfruttano la creatività del lavoro di molti e che cercano, con la forza o la mistificazione, di conservare la loro posizione di privilegio e, anzi, di accrescerla. Ma il capitalismo era nato come premessa di maggiore libertà per tutti; erano state le masse a pagare in prima persona il passaggio dal feudalesimo a questo nuovo sistema, e le masse cercavano più libertà, libertà durata ben poco.
Le masse sfruttate si sono quindi trasformate nei giudici più severi nel condannare la nuova disuguaglianza e nell'emettere il verdetto di eliminazione per arrivare ad un sistema più giusto. E' bastato questo movimento di lotta e di presa di coscienza per creare un nuovo periodo prerivoluzionario, nuove organizzazioni rivoluzionarie.
Oggi esistono più teorie politiche le quali si proclamano rivoluzionarie anche avendo ben poco in comune con la nostra e addirittura avversandola apertamente. Si trovano nelle posizioni e collocazioni sociali più strane come pure insospettabili. Molte di queste ci avversano apertamente, altre non hanno ancora avuto il tempo di scoprirlo, anche se è solo questione di tempo. Queste teorie hanno, alla radice, un errore che, a mano di una provvidenziale dissoluzione delle stesse, le rende controrivoluzionarie in prospettive più o meno vicine.
Questo errore di fondo le accomuna di fatto anche a quelle teorie che si dichiarano conservatrici o addirittura reazionarie. La differenza fra quelle di queste teorie che si dichiarano rivoluzionarie e quelle che si dichiarano conservatrici e reazionarie è che le prime si trovano quasi sempre al di fuori dell'esercizio esplicito del potere di sfruttamento, mentre le seconde sono quasi sempre legate a gruppi che lo esercitano apertamente e direttamente. Ma spesso queste differenze sono più articolate, perché spesso teorie reazionarie sono legate a gruppi che non esercitano in forma diretta il potere e teorie che si dichiarano rivoluzionarie si stanno avvicinando a grandi passi alla stanza dei bottoni dello sfruttamento. La differenza che accomuna il metodo di queste teorie, tanto differenti tra loro per le strategie che si perseguono, in un blocco opposto al nostro metodo teorico, consiste nel modo con cui si guardano i fatti storici, se ne leggono i contenuti espressi dalle masse e se ne traggono le linee teoriche.
A ben vedere, tutte le organizzazioni politiche -rivoluzionarie e non- dichiarano di avere lo stesso fine, cioè la liberazione dell'uomo: di ogni singola individualità e della collettività. Questo scopo è l'unico dichiarabile da una qualsiasi organizzazione politica, sia che voglia crearsi un'ultima spiaggia di credibilità, sia che voglia veramente raggiungerlo. Per raggiungere questo scopo -bugiardo o sincero, ma unico proponibile ad una società di uomini- ogni organizzazione osserva la storia e ne trae delle indicazioni di fondo, dei programmi, delle tattiche. Ma qual è il punto in cui nasce originariamente la contraddizione fra scopo dichiarato e teoria reale, contraddizione di cui sono coscienti fin dall'inizio quelli a cui in realtà la liberazione degli uomini non interessa e di cui invece sono più o meno incoscienti coloro che non comprendono la sua reale portata?
Il nodo è proprio nella comprensione che si ha, che si vuole avere, del ruolo della stessa libertà reale degli uomini nel conseguimento della sua realizzazione sempre maggiore. Si arrivano a interpretare, da parte dei controrivoluzionari, le rivoluzioni e le intuizioni delle masse in lotta come prodotti oggettivi di leggi che non risiedono nella coscienza di ogni componente della massa e che, soprattutto, non possono in alcun caso mai svilupparsi in questa coscienza.
S'inventano le leggi storiche come fatti superiori alle masse e si ricercano quegli uomini che, per condizioni di assoluta particolarità in ogni caso non riproducibili a livello di massa, possono rappresentare queste leggi. Qui le immagini si articolano: da chi figura questi uomini come veri e propri invasati da leggi e valori superiori, a chi li rappresenta come i soli capaci di comprendere queste verità, facendo diventare la teoria politica la stessa cosa che la coscienza perfetta delle masse e dando ai condottieri eletti la capacità di usare la loro posizione di privilegio per fare -sulla pelle delle masse e delle loro genuine tendenze storiche- della vera e propria pratica scientifica l'èlite, di sui i pochi scienziati sono i soggetti e le masse gli oggetti.
Per noi è diverso. Se le masse hanno usato la libertà per porsi in condizione di svilupparla come fine, noi diremo la stessa cosa, e la nostra teoria dirà che non esistono mezzi diversi e contraddittori giustificati da tanto fine, ma che anzi, a questo livello, il fine non vive se non subito nei modi usati per realizzarlo. Così è infatti per noi. Se le masse chiedono libertà è perché si sono liberate dal dominio della ideologia dello sfruttamento e dell'autorità, se riusciranno a spianare la strada della loro libera espressione, andranno avanti in questo senso, perché la loro arma terribile sarà la coscienza e non la fede, che è parente stretta della rassegnazione e figlia del dominio dell'uomo sull'uomo. Il punto è che se gli sfruttati hanno dato precise indicazioni sui modi da usare per perseguire la rivoluzione sociale, e queste indicazioni mostrano una precisa direzione libertaria nella gestione del relativo processo e fini immediati di abolizione di qualsiasi coercizione interna alle forze rivoluzionarie, ci son due modi per raccogliere in teoria queste indicazioni.
Il primo consiste nell'interpretarle come un sintomo di una causa, di un disegno che è al di sopra delle masse, che si manifesta attraverso esse e che per essere un giorno compreso appieno da tutti gli uomini che si battono -incoscientemente- per esso, necessita di un processo preparatorio -gestito dai pochi super capaci e con metodi giudicabili solo da questi pochi, cioè antilibertari. Il secondo modo consiste nell'accettare il fatto che le masse, per essere arrivate a ricercare apertamente la libertà collettiva ed a perseguirla con mezzi esclusivamente libertari, hanno raggiunto quello stadio di maturità necessario a reggere correttamente tutto il progetto rivoluzionario; nell'assumere, quindi, nella teoria, l'importanza della difesa di questa libertà e dello stimolo continuo e senza compromessi sulla sua strada.
Se, infatti, le masse hanno indicato i loro mezzi di maturazione ed avanzamento sociale sulla strada della libertà, cioè hanno mostrato una sostanziale coscienza di quello che vogliono, si hanno tutti gli elementi per entrare in una corrente rivoluzionaria già presente e perseguire gli scopi ed i metodi già espressi, non certo per appiccicarle delle etichette che non si è mai date e che contrastano spesso apertamente con gli orientamenti stessi presi dalle masse in tutta libertà.
La nostra teoria è dunque un prodotto degli avvenimenti storici dell'era aperta dal capitalismo, ma, nello stesso tempo, essa stessa ha costituito uno dei fattori propulsori e sostenitori degli episodi rivoluzionari. Questa proposizione è giusta, ma, quel che è più importante, è che non ha nessun senso considerata come origine della verità, come affermazione dogmatica con cui spiegare la storia a priori.
Dobbiamo invece andare a cercare nella storia del capitale e delle classi ad esso subalterne, cosa ne è risultato dall'intrecciarsi della realtà del capitale con le aspirazioni di libertà delle masse, dell'espressione immediata dell'odio per l'alienazione capitalistica e della ricerca di una alternativa reale ad essa con i risultati del pensiero di uomini che ricercavano coscientemente il nodo della libertà reale ed il modo per scioglierlo definitivamente.
A questo punto, si pone un quesito: se la storia dei moti sociali interni al capitalismo ha mostrato che, fondamentalmente, gli sfruttati hanno raggiunto un tipo di coscienza sui fini e sui modi della rivoluzione sociale, tale da porli come soggetti reali di questo processo, quale logica storica assume il dualismo, per così dire, organico, fra coscienza pratica di massa e teoria della minoranza rivoluzionaria?
La logica esistente nel rapporto fra questi due termini non è -come anche tutte le proposizioni teoriche- che la sistemazione razionale di fatti reali, di tendenze storiche reali.
Nello svolgersi della storia si producono una infinità di eventi piccoli e grandi che, se da una parte costituiscono le grandi dinamiche sociali, le quali agiscono da protagoniste nello sviluppo della società stessa, d'altra parte rendono imperfetto e non automatico il procedere ed il risolversi di queste dinamiche. Infatti, nella storia sociale del capitalismo, si sono verificati numerosi episodi rivoluzionari che hanno avuto, almeno nelle fasi iniziali, le masse sfruttate come protagoniste dirette. Tutti questi episodi sono falliti, per quello che si ponevano alla nascita, e questo è avvenuto per diversi motivi. Tra questi se ne trovano alcuni di tipo esterno -quali le condizioni fisiche del paese in cui è avvenuto l'episodio rivoluzionario, o l'influenza indiretta da parte di paesi e popoli non contagiati dal processo di lotta- mentre altri sono di tipo interno all'episodio rivoluzionario: il grado e l'estensione della coscienza rivoluzionaria, la forza della classe dominante, la organizzazione reale del movimento di lotta, la sua compattezza, etc.
E' proprio l'insieme di questi due tipi di circostanze che ha determinato il nascere di una funzione precisa e particolare -interna alla coscienza pratica di massa- che avesse compiti particolari, in totale funzione dell'avanzamento delle intuizioni delle masse rivoluzionarie. Questa funzione è nata come teoria rivoluzionaria ed ha acquistato realtà storica nel momento che delle minoranze di individui, nella qualità di militanti rivoluzionari, hanno potuto comprenderne la necessità in base all'andamento stesso del processo rivoluzionario.
Queste minoranze, quando si sono poste correttamente ad imparare dai fatti e dall'elaborazione di massa -e non solo dal proprio singolo cervello- hanno compreso di non essere al di fuori -o peggio, al di sopra- delle masse, ma hanno afferrato -nello stesso tempo- sia l'importanza di difendere la autonomia di elaborazione e decisione delle masse e di dare ad essa sbocchi organizzativi coerenti, cioè funzionanti -nel periodo rivoluzionario- sia d'altra parte, l'importanza di farla rivivere negli interessi immediati degli sfruttati -nei periodi non rivoluzionari.
Queste minoranze hanno nelle mani l'arma della teoria rivoluzionaria, ma sanno anche che essa è un'arma rivoluzionaria solo se ritorna continuamente in questa coscienza; in caso contrario, perso il potere rivoluzionario, o essa sopravvive legandosi al potere controrivoluzionario, oppure, priva del potere di realizzarsi, si ritorce sui suoi artefici, alienandone il pensiero dalla realtà dei fatti. Queste minoranze, se sono corrette, sanno di non avere alcun privilegio personale che possa essere conservato nel processo rivoluzionario, perché quest'ultimo si è dimostrato antiautoritario ed egualitario per eccellenza. Inoltre, come la teoria rivoluzionaria si realizza solo se confluisce nella coscienza pratica di massa, così la minoranza rivoluzionaria si realizza solo se confluisce nella collettività degli sfruttati. Suo scopo è quello di creare le condizioni per questa confluenza.
Compiti della minoranza rivoluzionaria sono quelli di fare sue le indicazioni degli episodi rivoluzionari, incamerare saldamente il fine costante della rivoluzione sociale ed il senso della evoluzione dei suoi metodi, nella prospettiva della realizzazione di nuove e più avanzate esperienze rivoluzionarie di massa, che si giovino delle esperienze passate. Ciò richiede appunto che i contenuti della teoria vengano trasmessi dalla minoranza rivoluzionaria alle masse in modo tale da offrire loro la possibilità reale di sviluppare, date le condizioni storiche attuali, una coscienza pratica rivoluzionaria, già in partenza più precisa ed incisiva di quella espressa nei precedenti episodi rivoluzionari.
Le masse hanno indicato, nella pratica, cosa vuol dire lotta di classe, perché il capitalismo è contraddittorio, cosa vuol essere la rivoluzione sociale. Se le masse non avessero compreso ed indicato praticamente le dinamiche sociali dell'era del capitale, non avrebbe avuto senso alcuna parola pronunciata contro lo sfruttamento, alcuna analisi, per quanto lucida, sulla necessità della rivoluzione, alcun dibattito sui modi per condurla.
Questa è la verità fondamentale che informa ed uniforma la nostra coscienza di comunisti-anarchici. Il senso della nostra teoria, il suo ruolo generale, ed il relativo programma teorico, altro non sono che l'espressione sistematizzata della storia della coscienza pratica delle masse sfruttate, dalla quale traiamo la ragione della nostra esistenza politica ed il senso complessivo della nostra attività.
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