Federazione dei Comunisti
Anarchici
Segreteria Nazionale
Lettera aperta al PAI
a:
Federazione Comunista Libertaria
Ligure (F.C.L.L.)
Organizzazione Comunista
Libertaria (O.C.L. di Livorno)
Partito Anarchico Italiano (P.A.I.)
Organisation Socialiste
Libertaire (O.S.L. - Svizzera)
Union des Travailleurs
Communistes Libertaires (U.T.C.L. - Francia)
La definitiva separazione dei percorsi politici, determinatasi tra Partito Anarchico Italiano (PAI) e Federazione dei Comunisti Anarchici (FdCA), deve essere valutata nell’ambito dei processi tendenti alla costruzione dell’organizzazione politica dei comunisti anarchici (OP) in Italia.
Il confronto politico tra PAI ed FdCA avrebbe dovuto superare la logora logica del confronto/scontro tra sigle, avviando quel processo di aggregazione dei militanti comunisti anarchici e comunisti libertari, indispensabile punto di partenza per una più vasta aggregazione di militanti, che individuasse nella classe l’interlocutore al quale rivolgersi, per un corretto progetto di costruzione dell’OP.
Prima ancora che su precisi contenuti politici, il confronto con i compagni del PAI è naufragato sulla loro incapacità di concepire un processo di costruzione dell’OP che tagliasse realmente i ponti con ogni tentazione di riproporre scontate sommatorie tra sigle.
Ma se questa è la cornice all’interno della quale è maturata la crisi dei rapporti tra PAI ed FdCA, c’è da sottolineare che essa è stata alimentata da alcune divergenze, reciprocamente sviluppatesi in anni di esperienza politica e militante. I compagni del PAI, nel loro documento "Per l’alternativa libertaria" (PAI-Modena - marzo 1989), che costituisce il loro pronunciamento strategico più esaustivo, articolano alcune proposte, basandole su alcune affermazioni fondamentali:
il progressivo esaurimento dell’autonomia di classe conseguente ai processi di istituzionalizzazione del sindacato;
la fine del concetto di "classe generale";
l’entità dei contenuti libertari espressi da settori dei movimenti di massa e del mondo del lavoro, che tenderebbero al progressivo superamento dell’anarchismo.
Nel corso della nostra esperienza politica e militante, abbiamo affermato alcuni concetti che, ricollegandosi al patrimonio classista dell’anarchismo, ci allontanano dalle deviazioni movimentiste del PAI:
il processo di istituzionalizzazione del sindacato deve essere letto nel contesto storico politico, all’interno del quale si verifica in una fase storica. Nella società capitalistica il sindacato svolge, infatti, un ruolo contraddittorio. Nelle fasi offensive dello scontro di classe è in grado di esercitare la sua funzione primaria che è quella di difendere gli interessi dei lavoratori, mentre nelle fasi difensive dello scontro, rischia costantemente di svolgere una funzione di razionalizzazione dell’assetto capitalistico.
L’interlocutore di classe non è quindi configurabile nel sindacato in quanto tale, ma nella classe del lavoro dipendente, qualitativamente e quantitativamente mutata dalla ristrutturazione capitalistica. Il grado di disaffezione al sistema, la radicalità delle posizioni espresse da settori anche consistenti dei movimenti di massa, non potranno produrre da soli una qualche diffusa consapevolezza anticapitalistica, per la loro latitanza dai processi di produzione. E’ infatti all’interno di questi che i rivoluzionari devono individuare le classe ed i settori di classe, oggettivamente antagonistici al capitalismo.
Il concetto di centralità proletaria, che contrapponiamo a quello di centralità operaia, tipico della sinistra marxiana e dei suoi epigoni, è da noi definito quale ruolo politico complessivo (e quindi non esclusivamente sindacale), della classe in lotta per la propria emancipazione. Un simile ruolo si consolida progressivamente, man mano che si sviluppa il processo di sviluppo e della coscienza di classe, che dovrà precedere, e non seguire, la radicalizzazione rivoluzionaria.
Ogni ipotesi sostituzionista, tesa a ipotizzare negli attuali movimenti di massa il perno attorno al quale costruire nuove alleanze e identità sociali, è da noi considerata come una riedizione del vetusto concetto di centralità operaia, in grado di riprodurre i medesimi guasti.
I militanti comunisti anarchici e comunisti libertari devono intervenire nella classe non in quanto tali, agitando la propria sigla, ma in quanto avanguardie riconosciute. Ciò conferisce all’OP il fondamentale ruolo di supporto alla azione dei militanti nelle realtà dello scontro di classe.
L’articolazione di una linea classista non ci impedisce, come i compagni del PAI ritengono, di considerare i movimenti di massa e di collocare la loro funzione all’interno di una analisi obiettiva della realtà, dalla quale conseguono alcune indicazioni:
la necessità di ancorare i movimenti di massa ai rapporti di produzione, nel contesto del perseguimento dell’unità di classe, deve essere l’obiettivo che motiva l’intervento dei militanti comunisti anarchici nei suddetti movimenti.
I movimenti di massa nascono e si sviluppano su basi non necessariamente antagonistiche al modello di produzione capitalistico, non possono quindi costituire, da soli, nessuna ipotesi credibile di centralità.
Non abbiamo mai negato, e non neghiamo, la positività dello sviluppo di una coscienza ambientalista diffusa, ma essa non potrà né recuperare, né sostituire la coscienza di classe, che rimane patrimonio dei lavoratori. Ciò perché una coscienza diffusa che percorra trasversalmente le classi sociali, non è destinata a produrre una chiara consapevolezza anticapitalistica, ma a rimanere sul terreno della critica etica e morale (se non addirittura moralistica), al capitalismo, e quindi a convivere ed a svilupparsi con esso, con concreti rischi di finire per rappresentare la componente progressista dello schieramento capitalistico, relegandosi a svolgere un ruolo istituzionale e neutralizzato, proprio perché funzionale al sistema.
Crediamo che la nostra funzione di militanti, rispetto a questo tipo di movimenti, sia quella di ricercare con essi comuni esperienze di intervento. Con una simile consapevolezza dobbiamo tendere a legare, laddove è utile, opportuno e necessario, le nostre esperienze di intervento sindacale, che sempre più trascendono i luoghi di produzione per stabilire nessi profondi con il territorio, con tutti quei movimenti che difendono l’ambiente e la qualità della vita.
All’epoca del nostro primo congresso sulla Tattica, dichiaravamo infatti:
"La scelta dei referenti, infatti, non è frutto di mode, non può cioè variare troppo rapidamente nel tempo; se è vero che alcuni settori del proletariato perdono di consistenza e di centralità, e questo fatto andrebbe perlomeno dimostrato e non solo enunciato, altri soggetti li rimpiazzano, ed occorre individuarli, se non si vuole inseguire tutti i treni, procedere alla cieca o, peggio ancora, mirare solo a ciò che si muove, progetto degno di chi intenda raccogliere l’eventuale (molto eventuale) eredità del Partito Radicale, e non di un’organizzazione che intenda collocarsi in un’ottica di classe.
E questo apre il discorso sui movimenti sociali, che devono trovare un ancoraggio, se non altro strategico, nel mondo della produzione, pena il perdersi in una battaglia di idee, o per usare un termine inguaribilmente "vetero", tutta sovrastrutturale. Dall’altra parte si corre il rischio di svincolarsi da una visione materialistica per la quale, come diceva Bakunin, "lo sviluppo delle questioni materiali ed economiche fu sempre e continuerà ad essere la base determinante di ogni sviluppo religioso, politico e sociale (M. Bakunin; Risposta di un internazionale a Mazzini, in Opere Complete, vol. I, Edizioni Anarchismo, Catania 1976, pag. 30)
(...)
Lo sviluppo di una sensibilità antinucleare è solo una base per iniziare a costruire un progetto di utilizzo alternativo dell’energia all’interno di un mutato modello produttivo, altrimenti si fa solo dell’agitazione fine a se stessa, che tende a cambiare le fonti di energia, lasciando inalterati i rapporti internazionali di sfruttamento.
E lo stesso vale per i problemi della pace troppo genericamente intesi, ed è forse il caso di ricordare che proprio il già citato Bakunin ruppe con la borghese Lega per la Pace ed il Disarmo, per aderire all’Associazione Internazionale dei Lavoratori, proprio sul problema del come intendere il concetto di pace. Il dilemma non è quello di avere scomodi compagni di strada, ma quello di sapere a che punto iniziano le distinzioni.
In questo quadro la scelta dei movimenti in cui intervenire non è più una questione di propensioni, ma un problema di obiettivi che ci si pongono e che devono essere chiari, come motivate devono essere le scelte, che i singoli compagni fanno in presenza di più possibilità di lavoro politico; perché una visione di economia delle nostre forze prevede una coscienza collettiva della loro utilizzazione".
(Tratto da FdCA - "La nostra Tattica Generale" dell’1-2 novembre 1986 - relazione introduttiva a cura della Segreteria Nazionale FdCA)
Nel citato documento dei compagni del PAI, non vi è considerazione alcuna per i contenuti politici sopra esposti e da noi sostenuti da almeno tre anni, né è possibile sostenere che detti contenuti politici siano sfuggiti ai compagni del PAI perché essi, per oltre un anno e mezzo sono stati presenti nelle strutture di organizzazione della FdCA, essendo quindi a completa conoscenza delle suddette posizioni politiche. Le nostre posizioni sono state quindi volutamente ignorate, ma c’è di più: ad esse si è risposto con un documento che enuncia e non dimostra.
In tale documento i compagni del PAI sostengono di non ritenere più praticabile la costruzione di un polo comunista libertario, per diversi motivi: "da un lato la distanza e l’isolamento che si è prodotto, dall’altra la progressiva chiusura che notiamo rispetto ai nostri contenuti ed elaborazioni. Indizi di un esaurimento delle prospettive" (PAI-cit. pg.17).
La divergenza a questo punto parrebbe assumere i contenuti attualmente molto alla moda in una certa sinistra, nella quale si contrappongono rinnovatori coraggiosi e pavidi ortodossi. In un simile scenario è ovvio che i compagni del PAI si identificano con i primi, e relegano l’FdCA tra i secondi.
Da parte nostra rifiutiamo queste semplificazioni capaci solo di annebbiare i cervelli, e spostiamo il dibattito sui contenuti politici. Non è vero che le argomentazioni dei compagni del PAI siano state ignorate, è vero invece che esse non sono mai state da noi condivise. Tali argomentazioni hanno trovato, infatti, una opposizione crediamo qualificata nelle componenti che storicamente hanno costituito l’FdCA. Ci riferiamo ad una certa concezione dell’OP (oggi ampiamente contraddetta dalle più recenti affermazioni), che sta alla base della costituzione del PAI e che riscontrò l’opposizione dell’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica (O.R.A.). Ci riferiamo inoltre alla proposta, a suo tempo formulata dai compagni del PAI, e da essi tenacemente sostenuta, circa la costituzione di una componente anarchica nella Confederazione Generale del Lavoro (CGIL), avversata dai compagni dell’Unione dei Comunisti Anarchici della Toscana (UCAT). (Si veda al riguardo "I Comunisti Anarchici e l’Organizzazione di Massa" - UCAT - edizioni Crescita Politica - Firenze 1984).
Fu proprio la natura eminentemente politica delle divergenze a porre le basi per la costituzione del PAI e, più tardi, della FdCA, due esperienze politiche obiettivamente diverse.
Sostenevamo infatti nel 1985: "L’unità dell’ORA e dell’UCAT (che di lì a poco avrebbero costituito l’FdCA), non rappresenta certo la costituzione dell’organizzazione nazionale dei comunisti anarchici, ma solo un passo in questo senso, perché ben sappiamo quali sono le nostre debolezze e le nostre insufficienze..." (ORA/UCAT - Lettera al movimento anarchico - in bollettino di dibattito n°6 - ottobre 1985).
La consapevolezza di non ritenersi una OP, ma un contributo alla sua costruzione, è sempre ben presente nell’FdCA, assieme alla convinzione che lo sviluppo del processo di costruzione dell’OP avverrà solo se sapremo sviluppare l’intervento politico e la presenza nella classe. Questa infatti rimane l’interlocutore privilegiato, e l’unificazione delle forze comuniste anarchiche e comuniste libertarie si configura solo come la prima indispensabile premessa all’articolazione di detto progetto, volto a ricreare una nostra autonoma presenza ed un nostro ruolo nello scontro di classe.
Oggi i compagni del PAI agitano la necessità di un rinnovamento dell’anarchismo che finisce per appiattirsi sulle più generiche concezioni interclassiste. Il partito non si è costituito e l’effimera componente anarchica nella CGIL si è rapidamente logorata, ed i compagni del PAI non trovano niente di meglio da fare che cavalcare il presente con i suoi più generici contenuti, accodandosi ad essi e rinunciando ad una qualunque differenziazione.
Nella lettera interna del PAI, recentemente pervenutaci (PAI - Notizie - bollettino a circolazione interna - Modena 29 agosto 1989), si legge: "Riteniamo che nella fase attuale sia indispensabile un nostro inserimento nel movimento alternativo così come si sta sviluppando in Italia attorno all’ipotesi "Arcobaleno", nella sua prospettiva più larga di ipotesi pluralista, su contenuti eco-pacifisti e libertari. Questo si inserisce nella nostra ipotesi di superamento dei vincoli della sinistra comunista e del polo comunista libertario in Italia, portando al nostro inserimento come singoli compagni all’interno di questo movimento". L’interlocutore al quale i compagni del PAI finiscono per rivolgersi è costituito quindi da una serie di comportamenti antisistema ed alternativi, propri di un movimento irrimediabilmente interclassista quale è l’ipotesi "Arcobaleno". La definizione interclassista non deve comunque essere intesa nel suo significato deteriore, ma in quello che descrive un fronte eterogeneo che esprime interessi di classe diversificati.
I compagni del PAI non spiegano perché la loro propensione si spinge verso il polo "Arcobaleno" e non già verso il cartello delle liste verdi, che si presenta più consistente e più rappresentativo. Inoltre sfugge ai compagni del PAI una elementare considerazione: il movimento ambientalista, eco-pacifista e comunque alternativo, non risulta essere, alla luce dei fatti, suscettibile di essere in qualche modo influenzato dalle ridottissime forze comuniste anarchiche e libertarie, che comunque subirebbero la concorrenza di altre ben più agguerrite componenti (si pensi ad esempio a Democrazia Proletaria). La prospettiva proposta dai compagni del PAI è doppiamente miope, poiché appiattisce l’interlocutore sociale sull’ipotesi "Arcobaleno" e la funzione aggregante propria dei comunisti anarchici, con la loro partecipazione ad essa.
Da parte nostra crediamo di non dover ancorare le nostre prospettive politiche ad aggregazioni interclassiste (ed il significato di questa affermazione già lo abbiamo chiarito), che per la loro composizione sociale e per la loro latitanza dai processi di produzione non sono strutturalmente antagonistici al capitalismo.
La voce dei compagni del PAI finisce così per confondersi con quella di altri ritardatari che si agitano nel timore di perdere il ruolo politico del momento.
E’ questa la funzione che si rassegnano a svolgere, rispetto alla quale non nutriamo alcun interesse.
Quale ipotesi è allora possibile per le forze comuniste anarchiche e comuniste libertarie oggi in Italia? Nonostante che l’area sia esigua (e questo non da oggi, ma da sempre), è necessario capire che partire in dieci è cosa ben diversa dal partire in cento, anche se una simile aggregazione di militanti non esaurisce di certo il processo di costruzione dell’OP, ma ne costituisce la più elementare premessa.
L’unità delle componenti comuniste anarchiche si configura allora come l’unità dei ruoli politici reali e degli obiettivi livelli di presenza nelle situazioni dello scontro di classe. Una simile ipotesi di aggregazione militante, dovrà certamente tendere a realizzare un confronto complessivo su teoria, strategia e tattica, al fine di coinvolgere forze nuove (da qui l’importanza dell’intervento politico), nel processo di costruzione dell’OP in Italia.
Lucca, settembre 1989
Federazione dei
Comunisti Anarchici
Segreteria Nazionale